La riforma della residenza fiscale introdotta dal D.Lgs. 209/2023 ed i chiarimenti della circolare 20/E/2024

La riforma della residenza fiscale introdotta dal D.Lgs. 209/2023 segna un punto di svolta nel panorama tributario italiano, con l’intento di allineare la legislazione nazionale ai principi internazionali stabiliti da OCSE e UE. Tale normativa modifica in maniera significativa i criteri di determinazione della residenza fiscale sia per le persone fisiche che per le entità giuridiche, riflettendo un movimento verso un sistema fiscale più equo e trasparente che contrasta l’elusione e migliora l’amministrazione tributaria.

Con la circolare n. 20/E del 4 novembre 2024, l’Agenzia delle Entrate illustra gli effetti delle modifiche introdotte dal D.lgs n. 209/2023.

Tali modifiche influenzano l’effettivo radicamento della residenza fiscale in Italia, che rappresenta il presupposto fondamentale per un sistema come quello italiano, fondato sul principio della tassazione dei redditi globali (noto come worldwide taxation principle). Secondo l’art. 3 del TUIR, infatti, i residenti fiscali in Italia sono tenuti a dichiarare e pagare le imposte su tutti i redditi ovunque generati nel mondo, mentre i non residenti sono tassati solo sui redditi considerati prodotti all’interno del territorio italiano, come stabilito dall’art. 23 del TUIR.

1. RESIDENZA FISCALE DELLE PERSONE FISICHE

Le nuove disposizioni stabiliscono che una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, si verifica almeno uno dei seguenti requisiti:

  • residenza civile, definita dal codice civile come il luogo di dimora abituale;
  • domicilio fiscale, che secondo l’ 2, comma 2 del TUIR è ora interpretato come il luogo dove si concentrano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Non sono più rilevanti gli interessi e affari economici-patrimoniali. Cambia quindi il focus verso un aspetto più personale e meno economico;
  • presenza fisica effettiva, criterio introdotto dalla riforma che riconosce la residenza fiscale a chi dimostra di aver soggiornato fisicamente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta, indipendentemente da altri legami formali;
  • iscrizione all’anagrafe che va a rivestire carattere di “presunzione relativa” che ammette la prova contraria.

Le condizioni sopra richiamate sono tra loro alternative: è sufficiente che se ne verifichi una sola per considerare un soggetto fiscalmente residente.

Per determinare il periodo impositivo rilevante, si considerano anche periodi frammentari accumulati nell’arco dell’anno. Di conseguenza, per stabilire la residenza fiscale in Italia, non è richiesta una presenza continua o ininterrotta. Basta sostanzialmente che i requisiti normativi si verifichino per un totale di 183 giorni (o 184 in un anno bisestile) durante l’anno solare. Questi cambiamenti riflettono un approccio più flessibile e realistico rispetto al passato poiché riconoscono le nuove modalità di lavoro e di vita, come il telelavoro, che possono legare un individuo a un territorio senza una residenza formale.

Cosa si intende per relazioni personali?

L’Agenzia Entrate al punto 2.1.1 della circolare n. 20/E considera “relazioni personali e familiari” sia i rapporti tipici disciplinati dalle vigenti disposizioni normative (rapporto di coniugio, rapporto di unione civile), sia le relazioni personali connotate da un carattere di stabilità che esprimono un radicamento con il territorio dello Stato (coppie conviventi). Parimenti, assume rilievo la dimensione stabile dei rapporti sociali risultante da elementi certi, come ad esempio l’iscrizione annuale a enti culturali e sportivi. Per stabilire il domicilio fiscale di una persona in Italia è necessario osservare le azioni mediante le quali essa esprime chiaramente l’intenzione di mantenere un legame concreto con il territorio nazionale. Ad esempio, tale intenzione potrebbe essere presunta dalla disponibilità di una casa in Italia con le utenze lasciate attive.

I lavoratori frontalieri

Un esempio significativo è rappresentato dai lavoratori frontalieri provenienti da paesi limitrofi all’Italia. Questi lavoratori, frequentando il territorio italiano per gran parte dell’anno, anche solo per brevi periodi giornalieri, possono soddisfare il nuovo criterio per stabilire la residenza fiscale in Italia basato sulla presenza fisica. In questa situazione, se si verificano determinate condizioni, eventuali conflitti di residenza tra lo Stato di origine del lavoratore e l’Italia possono essere risolti applicando le cosiddette “tie breaker rules” previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.

La complessità del “nuovo domicilio” come criterio di residenza fiscale

Il concetto di “nuovo domicilio” per stabilire la residenza fiscale solleva interrogativi: è sufficiente, ad esempio, il possesso di un immobile in Italia per determinare il “domicilio” di un contribuente anche quando i suoi legami economici e professionali sono all’estero? La mancata integrazione del fattore economico-patrimoniale sembra inoltre complicare l’applicazione pratica, poiché impone una valutazione qualitativa delle relazioni personali e familiari, senza chiarire come questi legami debbano essere ponderati o se ne debba prevalere uno in particolare. Tale incertezza potrebbe comportare una valutazione discrezionale delle situazioni individuali, con possibili ripercussioni sulla certezza del diritto.

La “mera presenza fisica” come criterio di residenza: i rischi applicativi

La riforma ha introdotto la possibilità di considerare fiscalmente residente in Italia chi vi trascorre più della metà dell’anno, a prescindere da legami anagrafici o domiciliari. Sebbene questo criterio faciliti l’individuazione della residenza fiscale in alcuni casi, potrebbe creare situazioni ambigue o inique in assenza di ulteriori specifiche. Per esempio, uno studente straniero che trascorre più di sei mesi in Italia per motivi di studio, o una persona che vi soggiorna temporaneamente per assistere un familiare, potrebbe vedersi attribuire la residenza fiscale solo in base al tempo trascorso, senza un reale intento di stabilirsi stabilmente nel Paese. Inoltre, in assenza di trattati di doppia imposizione con determinati Paesi, questo criterio potrebbe esporre a situazioni di doppia tassazione, penalizzando soggetti che mantengono solo un legame temporaneo con il territorio italiano.

2. ESEMPIO CONTEGGIO DEI GIORNI DI RESIDENZA

La Relazione illustrativa al Decreto riafferma, in linea con la normativa precedente dell’articolo 2, comma 2, del TUIR, che per il calcolo del periodo d’imposta prevalente, si considerano anche periodi frammentati accumulati durante l’anno. Ad esempio, nel 2024, che è un anno bisestile, una persona non precedentemente residente in Italia che trascorra i seguenti giorni non consecutivi in Italia:

  • dal 11 al 31 gennaio (21 giorni),
  • dal 5 al 10 febbraio (6 giorni),
  • dal 1° al 30 aprile (30 giorni),
  • dal 12 al 26 maggio (15 giorni),
  • dal 1° giugno al 31 luglio (61 giorni),
  • dal 1° ottobre al 31 ottobre (31 giorni),
  • dal 5 novembre al 12 novembre (8 giorni),
  • il 27 novembre (1 giorno),
  • dal 2 al 12 dicembre (11 giorni)

totalizzerà 184 giorni di presenza fisica nel nostro Paese e, di conseguenza, sarà considerata fiscalmente residente in Italia per il periodo d’imposta del 2024.

3. RESIDENZA FISCALE PER SOCIETÀ ED ENTI

Per le società e gli enti la determinazione della residenza fiscale è ora basata, alternativamente, su tre criteri, configurando la residenza fiscale in Italia anche la ricorrenza di uno solo di essi:

  • sede legale, ovvero il luogo dove una società è registrata;
  • sede di direzione effettiva, interpretata come il luogo dove si prendono le decisioni strategiche e cruciali per la gestione e l’orientamento dell’ente;
  • gestione ordinaria, che si considera il luogo dove avvengono le attività quotidiane di gestione e amministrazione.

Questa revisione mira a colmare le lacune che permettevano alle entità di spostare artificialmente la loro residenza fiscale all’estero, mentre in realtà mantenevano le loro operazioni sostanziali in Italia.

La sede di direzione effettiva: il cuore delle decisioni strategiche

Il criterio della sede di direzione effettiva, previsto dall’art. 73, comma 3 del TUIR, identifica il luogo in cui avviene la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. Questo concetto serve a superare incertezze interpretative e operative, concentrandosi sul luogo dove si determina l’orientamento strategico dell’azienda. La Circolare 20/E dell’Agenzia delle Entrate specifica che non rileva il luogo in cui i soci assumono decisioni, a meno che queste non abbiano carattere gestionale. Ciò significa che le assemblee dei soci non influenzano la determinazione della residenza fiscale, a meno che non intervengano direttamente nella gestione operativa.

La sede di gestione ordinaria: il centro delle attività operative

La sede di gestione ordinaria, anch’essa definita dall’art. 73, comma 3 del TUIR, si riferisce al luogo dove si svolge il continuo e coordinato compimento degli atti di gestione corrente che riguardano la società o l’ente nel suo complesso. Questo criterio si focalizza sulle attività quotidiane di amministrazione e operatività che assicurano il normale funzionamento dell’azienda. La Circolare 20/E dell’Agenzia delle Entrate chiarisce che la sede di gestione ordinaria è il luogo in cui si esplicano le funzioni operative principali, distinguendolo dalla mera presenza di strutture amministrative formali all’estero. Questo aiuta a identificare come residenti fiscali in Italia quelle entità che, pur avendo una sede legale all’estero, svolgono le loro attività operative principalmente sul territorio italiano.

4. IMPLICAZIONI INTERNAZIONALI

Le nuove regole sono state concepite per essere in armonia con le convenzioni contro le doppie imposizioni e per rispettare gli accordi bilaterali esistenti. Le relazioni tra la nuova normativa interna italiana e le Convenzioni contro le doppie imposizioni richiedono un coordinamento attento. Queste convenzioni, che l’Italia ha stipulato con diversi Paesi, hanno la prevalenza sul diritto interno, come confermato dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600. Tali disposizioni stabiliscono che la normativa interna può derogare agli accordi internazionali solo quando è più vantaggiosa per il contribuente. Inoltre, sanciscono che gli accordi internazionali hanno la precedenza sul diritto interno. Il principio è stato sostenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

L’articolo 4 del Modello di Convenzione OCSE

In particolare, l’articolo 4 del Modello di Convenzione OCSE, ampiamente adottato nelle convenzioni italiane, stabilisce che la residenza fiscale si basa sulla legislazione interna di ciascuno Stato contraente. Se le leggi interne di due Stati in conflitto definiscono entrambe un individuo come residente fiscale, il paragrafo 2 del medesimo articolo prevede l’uso di specifiche “tie breaker rules” per attribuire la residenza a un solo Stato. Queste regole privilegiano l’abitazione permanente, seguita dal centro degli interessi vitali, dal soggiorno abituale, dalla nazionalità e dall’accordo fra gli Stati. Inoltre, le convenzioni con alcuni Paesi in particolare, come Germania, Svizzera e Panama, includono clausole per il frazionamento dell’anno fiscale, facilitando la gestione della doppia residenza in caso di trasferimento di domicilio durante l’anno.

Anche per quanto riguarda le società, potrebbero sorgere situazioni di doppia residenza, con la possibile doppia imposizione, che dovranno essere gestite secondo la regola della sede della direzione effettiva, come previsto dalle convenzioni internazionali.

5. OPERATIVITÀ DELLA NORMATIVA E CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Le nuove disposizioni si applicano:

  • a partire dal 1° gennaio 2024 per le persone fisiche, le società e gli enti con esercizio coincidente con l’anno solare;
  • dal primo periodo successivo a quello in corso al 29 dicembre 2023 per le società con esercizio non coincidente con l’anno solare, per le quali la normativa precedente resta in vigore fino alla chiusura del periodo d’imposta a cavallo d’anno.

La circolare n. 20/E del 2024 dell’Agenzia delle Entrate fornisce esempi pratici e indicazioni dettagliate su come applicare i nuovi criteri. Emerge da essa l’importanza di valutare ogni situazione caso per caso, considerando la complessità delle moderne configurazioni lavorative e personali.

6. IMPATTI NELLA MODIFICA

L’aggiornamento della legislazione sulla residenza fiscale riflette l’adattamento del sistema tributario alle dinamiche globali e ai nuovi modelli di mobilità internazionale.

La chiarezza e la precisione della nuova normativa incentivano una maggiore conformità fiscale e offrono agli operatori economici e ai privati una maggiore certezza del diritto. Al contempo, si riducono le opportunità di elusione fiscale e si punta ad una maggiore certezza del diritto.

Nel contesto della globalizzazione e dell’incremento del lavoro remoto, queste modifiche si propongono come fondamentali per garantire equità e giustizia fiscale nel rispetto degli standard internazionali.

7. PIANIFICAZIONE FISCALE E ASSISTENZA PERSONALIZZATA: IL SUPPORTO DI CARAVATI PAGANI

Le novità introdotte dal D.Lgs ed i chiarimenti della Circolare hanno importanti impatti sui soggetti che vivono in più paesi e quelli che hanno attività o famiglie diffuse.

Risulta pertanto sempre più importante una adeguata pianificazione fiscale professionale sia prima di trasferirsi da/in Italia, sia durante la permanenza per assicurarsi la piena compliance fiscale.

Caravati Pagani, con il suo team di professionisti specializzati, assiste da anni numerosi clienti in queste tematiche, sia nelle fasi preventive, sia nei contenziosi con l’Agenzia delle Entrate.